BAMBINI E ADOLESCENTI NON SOLO AL TEMPO DEL “COVID-19”
Durante le celebrazioni, nel 2019, del trentennale della Convenzione ONU dedicata ai “Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza”, molti commentatori, a diverso titolo, hanno insistito sull’esigenza di un aggiornamento di quel testo fondamentale; un’esigenza, peraltro, non sempre rispettata, adottata e adattata dalle pratiche quotidiane, come risulta dalla cronaca, con le sue notizie di “pedagogia nera”. La ‘Fondazione Mazzatinti’ di Gubbio, che alla cosiddetta pedagogia nera ha dedicato anche un incontro pubblico, condivide tale impostazione per un aggiornamento e, attraverso il suo Presidente, intende riflettere sull’argomento, a partire da questa fine di marzo 2020, in cui il “Coronavirus” ci obbliga a sentirci, per dir così, orfani della scuola-comunità educante, di non poche relazioni esterne interpersonali, di noi stessi e un po’ anche ostaggi domestici. Anche questa, tuttavia, ci sembra un’opportunità non banale per rinsaldare i vincoli familiari, riconsiderare i nostri legami, non solo di sangue, tra adulti e persone di minore età, tra genitori e figli, nonni e nipoti. Vicini eppure lontani. Insomma, in tema di infanzia/adolescenza, nessuna parentesi istituzionale, sociale ed esistenziale, per quantp forzosa, potrà mai mettere tra parentesi il rapporto vitale, formativo, magari rimodulato, degli adulti con le persone di minore età, con i loro bisogni/diritti. A livello scolastico, extrascolastico e familiare. Nel riflettere, ripensiamo dunque questi irrinunciabili diritti, oltre la contingenza: ne proponiamo un elenco di dieci, non del tutto nuovi, ma più in sintonia con i tempi moderni. Essi sono: il diritto alle “Due A” (Attaccamento/Ascolto, ovvero all’ Ascoltamento); all’identità; alla resilienza; al potere di crescita (o ad una crescita per l’autonomia); all’informazione pertinente; al discernimento conoscitivo (o a competenze integrate, cognitive e non cognitive); all’empatia; alla convivenza pacifica; alla salute psicofisica; alla speranza.
DIRITTO ALL’ASCOLTO E ALL’ATTACCAMENTO
Sembrerà strano, ma come ha fatto notare, in un incontro pubblico a Perugia, il Presidente del Tribunale per i Minori di Perugia, nella pur fondamentale, però datata, “Convenzione ONU” del 1989, la parola e il concetto di attaccamento non compaiono in maniera esplicita. Forse vengono assimilati al termine più generico di “protezione”, riferito a tutte le persone di minore età. Tuttavia, a distanza di tre decenni successivi al cosiddetto “secolo breve”, che, a detta di molti finì proprio nel 1989, molta acqua è passata sotto i ponti della storia sociale, civile e culturale del pianeta Terra, per cui è doveroso colmare questa lacuna. Tanto più che, come dicono John Bolwby (1907-1990) e la sua scuola di pensiero, “ il comportamento di attaccamento, particolarmente evidente nella prima infanzia, caratterizza l’essere umano dalla culla alla tomba”. D’altra parte, l’attaccamento, nelle persone di minore età, come forma vitale, risulta strettamente legato all’ascolto, come dato esistenziale, se è vero che non si può non comunicare. Si potrebbe addirittura dire che siamo di fronte ad una locuzione nuova, all’ascoltamento (Diritto alle due “A”). Nella scuola, nella famiglia, nelle relazioni diadiche e asimmetriche adulto/minore, nei processi di socializzazione esso costituisce un primo diritto irrinunciabile del minore, non solo in chiave materna o genitoriale. Tanto che, ricordava il Presidente del Tribunale di Perugia, spesso, nella casistica da lui affrontata, è necessario riprodurre la fenomenologia esistenziale dell’attaccamento, per i più piccoli, con figure non familiari, sostitutive del ruolo materno, attingendo a specifici e controllati elenchi con profili femminili disponibili.
Nel nostro caso e proprio in riferimento alla frase riportata di Bowlby (che fu anche esperto consulente dell’OMS) potremmo dire, nella prospettiva di uno sviluppo armonico della persona, che il Processo di Ascoltamento chiama in causa, in una sorta di connubio naturale, sia l’interiorità, sia l’esteriorità della sfera relazionale del bambino (e dell’adolescente), cioè, simultaneamente, l’ascolto e l’attaccamento interpersonali. L’ ascoltamento, come l’ho chiamato, evoca non solo un magnetismo emotivo e relazionale di base, biologicamente fondato, ma induce a riflettere, sul piano educativo, sull’importanza dell’ascolto come diritto del minore ad una comunicazione integrale, verbale e non verbale, fin dalla nascita.
Dall’ascolto all’attaccamento e viceversa
Appurato che dare spazio all’ Ascoltamento significa, da parte dell’adulto, rispondere a un bisogno/diritto irrinunciabile della persona di minore età, per suo conto l’attaccamento comporta sia la ricerca di una figura rassicurante, sia il desiderio esplorativo, connaturato all’essere umano, di scoprire il mondo, oltre la propria circoscritta dimensione, passo dopo passo oltre la stessa figura adulta, materna in particolare. Tale vocazione esplorativa presuppone l’ascolto come aspirazione emozionale e mentale, corporea, come relazione d’aiuto primordiale. Vicinanza fisica, esigenza di contatto cinestesico, di legami significanti sono ascrivibili a un bisogno sociale primario di attaccamento, che “diventa il fulcro dei primi anni di vita (monotropismo)”, destinato ad evolversi attivamente e selettivamente sul piano relazionale (intelligenze emotiva, prosociale, infra e interpersonale). Con l’esigenza di ascolto, rivolto quotidianamente verso gli esseri umani più frequentati, più esposti, più fragili (senza età), il profilo relazionale della persona di minore età si fa più complesso, fenomenologicamente più articolato, dotato sempre più di connotati ecologico-sistemici (mente, corpo, educazione, ambiente, cultura). Dall’attaccamento sicuro/insicuro, evitante, ambiguo o ambivalente si passa progressivamente a modelli operativo-dinamici, anche linguistici, in cui il soggetto minore, alla ricerca di una sua graduale autonomia, coinvolge l’adulto nelle sue diverse collocazioni di ruolo: qui l’ascolto assume una sua centralità, di cui l’attaccamento può essere causa ed effetto, in cui il rapporto asimmetrico con l’adulto non dovrebbe rispondere ad un modello gerarchico, bensì ad un modello integrato d’interscambio socioemotivo, cognitivo e comportamentale. Il pericolo di un adultismo sordo, distratto o noncurante è sempre incombente e secerne violenza varia, tanto improvvida quanto banale, purtroppo e non raramente giustificata a fin di bene, a fini correttivi. L’ascoltamento non solo è ritenuto ingombrante, ma anche fuorviante e fa rima con maltrattamento. Non ci si rende conto che proprio qui, nell’adultismo strisciante (nessun adulto dirà mai di cedere all’adultismo) alligna l’eziologia del maltrattamento precoce, a volte quasi impercettibile.
In conclusione, ogni adulto dovrebbe fare in modo, a costo di sconfessare le proprie esperienze passate e di contenere i propri impulsi/tentazioni adultisti, di vedere nel bambino, “il padre dell’uomo”. Il patto educativo (o patto di corresponsabilità) tra scuola e famiglia dovrebbe essere meno generico possibile su questo punto. Ogni bambino, ogni adolescente non solo dovrà sentirsi accudito e protetto in maniera basica, ma dovrà vedere nell’adulto un “testimone soccorrevole”, dialogante ed esigente al contempo. Una persona affidabile che sa distinguere i bisogni vitali dai capricci e dalle monellerie. Una persona capace di entrare in sintonia con lui, di comprenderlo attraverso l’ascolto tempestivo, non contingente ed occasionale, ma permanente e ricorrente. Un ascolto che si nutra di un attaccamento reciproco, inteso come relazione d’aiuto o bene relazionale. Tendere la mano è come offrire un dono nel segno della vicinanza, dell’attaccamento benefico, ascoltarsi è un po’ sacrificarsi senza sentirsi sfruttati o snaturati. Serve spesso un “orecchio verde”, cui la verde età ha diritto. Serve, cioè, che questo diritto all’ascoltamento (così lo chiamerebbe, in cuor suo, ogni bambino) trovi nell’adulto della cerchia familiare, amicale o della comunità educante, cui appartiene ogni persona di minore età, l’ orecchio e lo sguardo che i bambini cercano per essere compresi. Come dice Gianni Rodari, ci vorrebbe nel mondo adulto un “orecchio acerbo”, un orecchio bambino, per ascoltare bambine e bambini “quando dicono cose che ad un orecchio maturo sembrano misteriose”.
Al tempo del Coronavirus globale, un tempo d’attesa al riparo domestico, un tempo anche di paura, di lotta e di meditazione forzosa, ripensare al diritto all’ascoltamento e investire in esso come avvio ai “beni relazionali”, dentro e fuori della famiglia, sarà foriero, credo, di tempi migliori. Se oggi diciamo “io resto a casa”e siamo, fin d’ora, capaci di rispondere “hic manebimus optime”, ovvero “noi qui rimarremo ottimamente”, è un buon segnale. Vorrà dire che, come recita Roberto Piumini, rivolto ai piccoli, “quando avremo superato questa prova, tutti insieme impareremo una vita saggia e nuova” ( da: Il coronavirus non è un re).
BAMBINI-E-ADOLESCENTI-NON-SOLO-AL-TEMPO-DEL-“COVID-19”1.pdf (PdF)